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La collaborazione a progetto è stata introdotta nell’ordinamento italiano con la c.d. “Legge Biagi” e, specificamente con il D. lgs. n. 276/2003 attuativo della delega conferita dal Parlamento al Governo. Ne è derivato un modello di rapporto di lavoro che rientra per certi versi nell’ambito del lavoro autonomo, in quanto la prestazione lavorativa è eseguita senza vincolo di subordinazione, anche se l’attività prestata è continuativa e coordinata nell’organizzazione del committente.
La diffusione del lavoro a progetto ha trovato la propria ragion d’essere nel minor costo rappresentato per le imprese sotto il profilo contributivo e delle tutele previste per il lavoratore dal momento che proprio per la mancata attuazione di aspetti non secondari quali le ferie, il trattamento di malattia ed il trattamento di fine rapporto si è assistito al proliferare dell’utilizzo di questa fattispecie contrattuale.
Il “progetto” è l’elemento essenziale del contratto e deve essere inteso come l’obiettivo perseguito mediante l’attività del collaboratore senza che necessariamente si debba trattare di un’attività specialistica od altamente professionalizzata, essendo sufficiente un minimo impegno professionale al di sotto del quale non potrebbe, viceversa, configurarsi il progetto vero e proprio.
Ciò detto, qualora sia indicato il risultato che il committente intenda perseguire dovrà essere ben specificato il progetto, descrivendone tutte le attività.
Il progetto, nel d. lgs. del 2003, deve essere descritto individuandone il contenuto in modo predeterminato, senza l’utilizzo di clausole di stile e nemmeno facendo ricorso alla ripetizione dell’oggetto sociale del committente, o l’indicazione di compiti ripetitivi.
Laddove il progetto manchi o non sia specificato, ai sensi del d.l. 92/2012, ne consegue la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato ed a tempo indeterminato.
In sede di interpretazione della legislazione relativa alla fattispecie del lavoro a progetto, il Ministero del Lavoro già con la circolare n. 4 del 2008 ha tipizzato una serie di funzioni le cui caratteristiche escludono proprio che possa trattarsi di fattispecie sulle quali instaurare il lavoro a progetto[1].
La ratio sottesa alla formulazione di questo elenco è da ricercarsi nell’esistenza di una presunzione della subordinazione con onere della prova dell’autonomia nei confronti dell’imprenditore, ed a prescindere da ogni valutazione circa le modalità concrete di esecuzione della prestazione.
Ciò che rileva maggiormente, nella predetta circolare, è tuttavia l’approfondimento del tema relativo alle attività di cura e di assistenza alle persone nelle case di cura e nelle strutture sanitarie private che in linea di massima sono incompatibili con il modello del lavoro a progetto(1). Con una successiva circolare – la n. 29 del 2012 – il Ministero del Lavoro ha cercato di precisare ulteriormente le fattispecie di mancata configurazione del lavoro a progetto , confermando che le attività di cura nelle strutture sanitarie non vi rientrino ma rimovendo dall’elenco del 2008 , relativo alle attività da considerare lavoro subordinato, quella delle badanti e delle baby sitter.
Nella circolare n. 35/2013 il Ministero del Lavoro è ritornato sul tema richiamando l’esigenza della forma scritta, ai fini della validità del contratto, come requisito Ad substantiam e non più ad probationem, come avveniva in passato.
Il tema della qualificazione del lavoro di cura nelle strutture sanitarie trova motivo di chiarimento nella circolare n. 7/2013 precisando che nel quadro delle attività svolte dalle organizzazioni non governative o dalle ONLUS sia possibile individuare specifici progetti che nel contribuire allo scopo sociale dell’organizzazione se ne distinguano tuttavia per la specifica indicazione di una serie di elementi di specializzazione che consentano l’attivazione di forme di lavoro a progetto.
A tal fine, perché possa esistere una genuina forma di lavoro a progetto dovranno sussistere questi requisiti: a) la determinatezza dell’oggetto dell’attività da intendersi come parte dell’obiettivo perseguito dall’organizzazione; b) l’individuazione dell’arco temporale di espletamento dell’attività progettuale; c) il riconoscimento di margini di autonomia operativa al collaboratore; d) la previsione di modalità di verifica del raggiungimento dei risultati.
Per esservi lavoro a progetto occorrerà pertanto che di volta in volta il collaboratore concordi con il destinatario finale della prestazione gli aspetti operativi relativi alla tipologia di intervento, gli orari di assistenza e le modalità di erogazione del servizio.
La circolare n. 7/2013 pare dunque conformarsi alla più recente giurisprudenza che, sull’argomento ha avuto modo di prendere posizione recentemente.
In primo luogo, la Corte d’Appello di Bologna con la sentenza n. 614 del 29 ottobre 2012 ha affermato la legittimità del contratto di lavoro a progetto stipulato da una società cooperativa per l’affidamento di attività di assistenza domiciliare a persone non autosufficienti ove sia indicato il nominativo del beneficiari e siano elencate le prestazioni essenziali, rimettendo agli accordi tra il collaboratore e l’assistito le scelte delle attività da svolgere e la determinazione dei tempi della presenza presso l’abitazione dell’assistito entro un limite massimo giornaliero prestabilito dalla committente, con corrispettivo correlato alle ore di lavoro effettivamente svolte.
Anche il Tribunale di Bologna con la sentenza n. 230 del 2010 a definizione di una causa nella quale è stato chiamato a pronunciarsi sulla configurazione di diverse decine di rapporti di lavoro, il Tribunale ha ritenuto che trattandosi di prestatori di lavoro non assoggettati a vincoli di orario nell’esecuzione delle prestazioni e per giunta dotati di autonomia nel concordare modalità di esecuzione delle prestazioni con le famiglie delle persone non autosufficienti, mantenendo la libertà di assentarsi dall’incarico in caso di necessità con l’unico obbligo di darne avviso per essere sostituiti, vi fossero gli estremi per qualificare i rapporti di lavoro così instaurati nel novero dei contratti di lavoro “a progetto”.
Sempre il Tribunale di Bologna, con la sentenza n. 626 del 2010, ha preso posizione accogliendo il ricorso di una cooperativa che si era vista notificare un verbale di accertamento dall’INPS che aveva ricondotto i rapporti di lavoro di circa un centinaio di lavoratori nel novero del lavoro subordinato.
Il progetto riguardava la prestazione di assistenza domiciliare agli anziani ed alle loro famiglie ma le linee ed i contenuti del progetto non erano descritti analiticamente dal momento che nei singoli contratti ci si limitava a far riferimento a l’assistenza agli anziani ed alle loro famiglie, con una mera ripetizione di stile di quello che era l’oggetto sociale della cooperativa datrice di lavoro.
Per il Tribunale di Bologna, che accoglieva il ricorso della cooperativa contro il verbale di accertamento dell’INPS la sussistenza del lavoro a progetto era ammessa in ragione del fatto che la coincidenza del progetto con l’oggetto sociale della cooperativa implicava una presunzione relativa superabile con la dimostrazione e la prova dell’autonomia da parte del committente. Il tratto comune che caratterizza queste pronunce del giudice del lavoro pare dunque essere quello di un’indagine volta a verificare nel caso concreto le caratteristiche dei rapporti sottoposti alla propria cognizione, non inquadrando ipso iure le singole attività lavorative nel novero del rapporto di lavoro subordinato, bensì al contrario sforzandosi di individuare attraverso l’attività istruttoria tutti quegli elementi utili a verificarne la riconducibilità sotto la diversa fattispecie del lavoro a progetto.
NOTE
[1] L’elenco individua le seguenti tipologie di lavori: addetti alla distribuzione di bollette, alla consegna di giornali, addetti alle agenzie ippiche, babysitter, badanti, baristi, camerieri, addetti alle vendite e commessi, custodi, portieri, estetisti e parrucchieri, facchini, istruttori di autoscuola, letturisti di contatori e manutentori, muratori ed operai dell’edilizia, piloti ed assistenti di volo, prestatori di manodopera nel settore agricolo, addetti alle attività di segreteria e terminalisti.