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Validità della rinuncia del lavoratore a diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dai contratti collettivi

Di seguito un'analisi sulla validità della rinuncia del lavoratore a pretese relative all'indennità di malattia in sede di conciliazione stragiudiziale, basata sui principi fondamentali del diritto del lavoro italiano.


Inquadramento Generale: La Rinuncia ai Diritti del Lavoratore

La questione posta riguarda la disponibilità di un diritto del lavoratore, specificamente il diritto a percepire l'intera indennità di malattia, e la validità di un atto di rinuncia a tale diritto formalizzato in una conciliazione stragiudiziale.

Il principio cardine in materia è sancito dall'articolo 2113 del Codice Civile, rubricato "Rinunzie e transazioni". Questa norma è posta a tutela del lavoratore, considerato la parte contrattualmente più debole del rapporto di lavoro, e mira a proteggerlo da possibili abusi o pressioni da parte del datore di lavoro che potrebbero indurlo a rinunciare a diritti che gli spettano per legge o per contratto collettivo.

Il primo comma dell'art. 2113 c.c. stabilisce una regola generale di invalidità:

"Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi, concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide."

Il diritto all'indennità di malattia, e alla sua eventuale integrazione a carico del datore di lavoro prevista da molti Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), rientra a pieno titolo tra i diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge e di contrattazione collettiva. Di conseguenza, una semplice rinuncia da parte del lavoratore, formalizzata ad esempio in una scrittura privata non assistita, sarebbe radicalmente invalida.


La Validità della Rinuncia nelle "Sedi Protette"

La rigidità del principio generale è tuttavia temperata dalle eccezioni previste dallo stesso articolo 2113 c.c. La norma, infatti, mira a proteggere il consenso del lavoratore, non a impedirgli di disporre dei propri diritti in modo consapevole e volontario.

Per questo motivo, la legge individua delle "sedi protette" all'interno delle quali le rinunce e le transazioni sono considerate valide e inoppugnabili. In questi contesti, la presenza di un soggetto terzo e qualificato (un giudice, un funzionario pubblico, un rappresentante sindacale) garantisce che la volontà del lavoratore sia genuina, informata e non viziata da timore reverenziale o stato di soggezione.


La validità della rinuncia all'indennità di malattia in una conciliazione stragiudiziale dipende quindi, in modo cruciale, dalla sede in cui tale conciliazione si svolge.

Le principali sedi stragiudiziali "protette" in cui una rinuncia è valida sono:

1.    Conciliazione Sindacale (art. 410 e 411 c.p.c.): Si tratta della sede più comune. L'accordo viene raggiunto con l'assistenza attiva dei rappresentanti delle rispettive associazioni sindacali. La presenza del sindacalista a fianco del lavoratore è considerata garanzia sufficiente della sua libera determinazione. Il verbale di conciliazione, una volta sottoscritto, diviene inoppugnabile.

2.    Conciliazione presso l'Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL): La conciliazione può avvenire dinanzi alla commissione di conciliazione istituita presso l'ITL. Anche in questo caso, la presenza di un organo pubblico assicura la correttezza della procedura e la tutela del lavoratore.

3.    Conciliazione presso le Commissioni di Certificazione (D.Lgs. 276/2003): Sono organi abilitati a certificare i contratti di lavoro e possono anche validare accordi transattivi tra le parti, rendendoli stabili e non impugnabili.

4.    Sede Giudiziale (art. 185 c.p.c.): Sebbene non sia "stragiudiziale", è importante menzionarla per completezza. Il verbale di conciliazione redatto davanti a un giudice del lavoro è titolo esecutivo e, ovviamente, non è impugnabile ai sensi dell'art. 2113 c.c.


Analisi del Caso Concreto

Sono valide le rinunce e le transazioni che abbiano ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dai contratti collettivi? Ad esempio, può il lavoratore rinunciare all'indennità di malattia nel contesto di un atto di conciliazione?

Per rispondere all'interrogativo occorre delineare due distinti scenari.


Scenario A: Conciliazione in Sede NON Protetta

Se la "conciliazione stragiudiziale" consiste in un accordo privato (una "transazione tombale" o una "quietanza a saldo") firmato direttamente tra lavoratore e datore di lavoro, senza l'assistenza di un sindacato o la formalizzazione presso l'ITL o altra commissione abilitata, la rinuncia a qualsiasi pretesa sull'indennità di malattia è invalida.

In questo caso, il lavoratore può impugnare l'accordo. L'impugnazione deve avvenire, a pena di decadenza, entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro o dalla data della rinuncia/transazione, se successiva alla cessazione. L'impugnazione può essere fatta con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale (es. una raccomandata A/R o una PEC), idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di contestare la validità dell'accordo.

Scenario B: Conciliazione in Sede Protetta

Se, invece, la conciliazione stragiudiziale si svolge in una delle sedi protette sopra elencate (es. conciliazione sindacale), la rinuncia del lavoratore è pienamente valida ed efficace.

In tale contesto, il lavoratore, assistito e informato, accetta solitamente una somma di denaro a titolo di "incentivo all'esodo" o "importo transattivo" e, in cambio, rinuncia espressamente e irrevocabilmente a ogni pretesa, presente e futura, derivante dal rapporto di lavoro intercorso. Questa rinuncia "tombale" copre anche eventuali differenze retributive non corrisposte, inclusa l'integrazione dell'indennità di malattia. L'accordo raggiunto in sede protetta non è più contestabile dal lavoratore ai sensi dell'art. 2113 c.c.


Conclusioni

In sintesi, la risposta all'interrogativo è la seguente:

  • La rinuncia del lavoratore a pretese sull'indennità di malattia è valida e definitiva solo se contenuta in un verbale di conciliazione o transazione sottoscritto in una delle "sedi protette" previste dalla legge (principalmente in sede sindacale o presso l'Ispettorato del Lavoro).
  • Al di fuori di tali sedi, qualsiasi accordo privato contenente una rinuncia a tale diritto è invalido e può essere impugnato dal lavoratore entro 6 mesi dalla sua sottoscrizione (se successiva alla cessazione del rapporto) o dalla cessazione stessa del rapporto.

La validità dell'atto non dipende dall'oggetto della rinuncia (l'indennità di malattia), che è un diritto per sua natura inderogabile, ma dalla procedura seguita e dal contesto tutelato in cui la rinuncia viene formalizzata.


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