Diritto del lavoro e della previdenza
Lo Studio presta la propria assistenza nei giudizi di opposizione ai verbali Inps e Inail. Quanto alla trattazione specifica delle controversie in materia di diritto del lavoro lo Studio segue vertenze assumendo incarichi sia da parte dei lavoratori sia da parte delle aziende. In generale le vertenze affrontate attengono al recupero emolumenti non corrisposti dal datore di lavoro, al demansionamento e mobbing ai licenziamenti illegittimi, agli infortuni sul lavoro. Il recupero degli emolumenti avviene mediate la collaborazione con consulenti del lavoro che, a richiesta del cliente, elaborano il conteggio degli emolumenti dovuti secondo le mansioni svolte ed in relazione al contratto di lavoro ed ai contratti collettivi. Ottenuto il calcolo delle somme non corrisposte, viene introdotta la fase stragiudiziale di richiesta di conguaglio al datore di lavoro ed eventualmente la fase contenziosa.
Di particolare delicatezza sono invece le cause per mobbing in quanto occorre preliminarmente verificare se la condotta denunciata dal cliente rientri tipicamente nella fattispecie in questione. Si tratta di una precisazione non casuale in quanto molto spesso vengono indicati come comportamenti mobbizzanti situazioni che, invece, nel corso di un’istruttoria giudiziale, appaiono poi privi dei requisiti di specie, con il rischio per il lavoratore soccombente, di subire la condanna al pagamento delle spese legali a favore del datore di lavoro. Proprio per questo motivo occorre approfondirne i comportamenti del datore di lavoro o dei colleghi della supposta vittima di mobbing, al fine di verificare se sussistono i presupposti di un’azione.
E’ bene ricordare che costituisce mobbing quella violenza psicologica perpetrata nei confronti del lavoratore subordinato dal datore di lavoro, da un collega o da un gruppo, finalizzata ad isolarlo ed ottenere eventualmente il suo licenziamento spontaneo. Bisogna comunque tenere conto che spesso singoli episodi vessatori non sono sufficienti a concretare l’ipotesi persecutoria. Le sentenze di accertamento del mobbing non sono molte; il più delle volte i tribunali sono inclini a condannare il datore di lavoro per altre fattispecie quale il licenziamento illegittimo o il demansionamento del dipendente, piuttosto che per mobbing. Secondo la recente giurisprudenza della (Corte di Cass. civile, sez. lav, n. 28962/2011) per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e del complesso della sua personalità. Ecco dunque che ai fini della sussistenza di una condotta mobbizzante concorrono a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.
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