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Il concetto di stato di bisogno ai fini dell'obbligo di prestazione degli alimenti

Il Tribunale di […]con sentenza del 14.12.2020 ha accolto il ricorso ex art. 433 C.c. presentato per conto di una cliente dello Studio che, chiedeva la condanna degli stretti famigliari alla corresponsione a proprio favore di un assegno alimentare.


Il Tribunale, nell’articolata sentenza ha poggiato la propria statuizione su due elementi fondanti: il primo relativo alla qualificazione dello stato di bisogno, inteso come presupposto dell’azione e, il secondo, afferente invece a specifiche implicazioni di carattere patrimoniale della vicenda oggetto di cognizione, dal momento che parte significativa del patrimonio ereditario era stata trasferita, durante la vita del padre delle parti del giudizio ad uno dei coeredi con una serie di atti di disposizione, con ciò privando sostanzialmente il coerede ricorrente della maggior parte dei beni patrimoniali dei quali avrebbe potuto fruire, una volta aperta la successione e formate le relative quote, ai fini di superare la propria condizione di bisogno.


La domanda giudiziale è stata radicata sulla base dell’esistenza di uno stato di bisogno che il Tribunale ha qualificato come “mancanza dei mezzi necessari a soddisfare i bisogni primari dell’individuo, mancanza che si verifica non solo quando il soggetto è privo di mezzi di sussistenza, ma anche quando manca di ciò che consente di condurre una vita dignitosa”.


Secondo l’insegnamento della Suprema Corte, “l’alimentando non solo deve fornire la prova del suo stato di bisogno ma anche dell’impossibilità a provvedere al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa”.[1]In senso conforme anche la Corte d’Appello di Milano 28.06.2019; “Il riconoscimento del diritto agli alimenti è subordinato alla dimostrazione della sussistenza di un duplice presupposto, costituito da una parte dallo stato di bisogno e, dall’altra, dall’impossibilità da parte dell’alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali”[2].


Dal principio generale il Tribunale è pervenuto alla disamina del caso di specie, ritenendo in primo luogo assolutamente provato lo stato di bisogno di parte ricorrente che, sebbene disponesse in astratto di un patrimonio immobiliare anche cospicuo, esso era stato tuttavia assoggettato ad un’azione revocatoria degli atti di disposizione su tali beni compiuti da uno dei coeredi e, pertanto, anche a seguito dell’accoglimento dell’azione revocatoria, occorreva ancora procedere allo scioglimento della comunione ereditaria tra i coeredi, ai fini della formazione delle rispettive quote.


Passaggi che, allo stato del giudizio, non solo non erano ancora stati perfezionati ma che, in ogni caso erano ben lungi dal far ritenere come, una volta intervenuto il loro perfezionamento, la quota del patrimonio ereditario divenuta immediatamente disponibile a favore della parte ricorrente in stato di bisogno fosse in condizioni da procurarle un’immediata reddittività, idonea a sostenerne le esigenze di sostentamento e con ciò ad escludere gli obblighi alimentari da parte degli altri coeredi.


Sul punto, infatti, il Tribunale il giudizio ex art. 702 C.p.c., finalizzato ad ottenere la declaratoria di inefficacia degli atti di disposizione patrimoniale posti in essere dal de cuius nei confronti di uno dei coeredi, astrattamente tenuto all’obbligo degli alimenti nei confronti della parte ricorrente, non assume rilevanza allo stato attuale in quanto da un lato non è dato conoscerne l’esito e, dall’altro, in ragione del fatto che “Al fine del riconoscimento e della quantificazione del diritto agli alimenti, nonché della ripartizione del relativo onere in presenza di più obbligati, il raffronto tra le rispettive condizioni economiche va effettuato con riferimento alla situazione in atto, e quindi deve prescindere da vicende future, quali la probabile riscossione di crediti, le quali possono avere influenza, al loro verificarsi, per un’eventuale revisione di dette statuizioni, ai sensi dell’art. 440 C.c.[3]


[1] Cass. 9415/2017 – Cass. 20509/2010 – Cass. 3334/2007 – Cass. 1099/1990 – Cass. 2165/2017).

[2] Cass. Civ. Sez. I, 3334/2017.

[3] Cass, civ. Sez. i, 11/11/1994 N. 9432


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