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Brevi note sull’onere probatorio nella responsabilità medica tra dottrina e giurisprudenza


In deroga al principio generale risultante dall’applicazione degli artt. 2043 e 2697 C.c. - che imputa al danneggiato l’onere di provare la colpa dell’operatore, in caso di responsabilità medica il paziente deve solo limitarsi a provare il contratto (o il contratto sociale) e l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di affezione, allegando l’inadempimento astrattamente idoneo del debitore a produrre il danno[1].


La Cassazione Civile[2] in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità nel contratto sociale del medico, ha ricostruito gli obblighi delle parti, al fine del riparto dell’onere probatorio dell’attore, prevedendo che il danneggiato debba limitarsi esclusivamente a provare l’esistenza del contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, allegando l’inadempimento del debitore, a trattamento idoneo a provare il danno lamentato, rimanendo invece a carico del debitore l’onere di dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur essendovi stato, esso non è stato eziologicamente rilevante.


Il paziente dovrà pertanto solo fornire una prova dell’inesatto adempimento, lasciando al medico l’incombente processuale di dimostrare di aver seguito le procedure necessarie, di aver verificato se il paziente non fosse già affetto da quella patologia e in ogni caso di aver adottato tutte le cautele per evitare eventuali fattori di rischio,


Non è pertanto il paziente a dover provare l’inesattezza dell’adempimento, bensì è il medico a dover provare l’esattezza attribuendo a quest’ultimo la prova che “tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che pur esistendo non è stato nella fattispecie causa del danno”[3]: ne consegue pertanto l’evidente inutilità della distinzione tra obbligazioni di risultato ed obbligazioni di merito in quanto distinzione “in quanto frutto di una risalente elaborazione dogmatica accolta dalla tradizionale interpretazione, priva di un riscontro normativo e di dubbio fondamento, anche perché nelle cosiddette obbligazioni di mezzi lo sforzo diligente del debitore è in ogni altro caso rivolto al perseguimento del risultato dovuto”[4].


L’inadempimento del medico alla sua obbligazione di cura non discende dal fatto oggettivo consistente nel mancato raggiungimento del risultato sperato dal paziente, ma dalla sua prestazione in via presuntiva e salvo prova contraria, negligente o imperita, che non ha reso possibile il conseguimento del risultato normalmente ottenibile.


Mentre in ambito penale la spiegazione del nesso di causalità materiale tra condotta illecita ed evento di danno porta a ritenere che l’evento di danno sia stato causato dal danneggiante quando si provi che senza la condotta del responsabile il danno non si sarebbe realizzato, al contrario, nell’ambito della responsabilità medica la giurisprudenza ritiene che il nesso causale tra condotta medica e danno si presuma anche in assenza di certezza dell’effettiva causa di origine dell’evento dannoso, quando il sanitario abbia tenuto una condotta astrattamente idonea a causare il danno[5]. 


L’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale che ha affermato la distinzione tra causalità penale e civile, ritiene che in ambito civile si possa ritenere soddisfacente la c.d. “causalità probabilistica debole”[6].


La traduzione applicativa di tale principio è stata delineata dalla giurisprudenza nella formula “più probabile che non” [7]; si tratta di probabilità logica che presuppone un livello minimo di certezza del diritto e di garanzia delle parti in causa, per evitare un’eccessiva indeterminatezza e discrezionalità da parte del Giudice. Pur utilizzando il criterio del “più probabile che non”, non si deve rinunciare tuttavia ad avvalersi “di un criterio di accertamento e degli standard probatori non apparenti e fittizi ma dotati di adeguata persuasività, quali requisiti – limite dell’individuazione del nesso di causalità[8]”.


Se ai fini dell’accertamento della colpa nella responsabilità civile occorre che la condotta negligente, imperita o imprudente sia stata causa del danno, nella responsabilità medica si richiede non solo l’esecuzione secondo lege artis, ma anche che il paziente sia diligentemente informato della natura e dei rischi della prestazione medica: con la conseguenza che il medico, in difetto di informazione, può essere chiamato a rispondere delle conseguenze dell’intervento, anche qualora quest’ultimo sia stato effettuato diligentemente.


NOTE

[1] Cass. Civ,. Sez. III, n. 9085/2006 e Cass. Civ, n. 8826/2007 

[2] Cass. Civ. Sezioni Unite n. 577/2008 

[3] Nicolussi A. Sezioni sempre più contro la distinzione tra obbligazioni di risultato ed obbligazioni di mezzi. La responsabilità del medico in Danno e responsabilità n. 8/2008 

[4] Cass. Civile n. 10297/2004. 

[5] Cass. Civ. 12103/2000. 

[6] Fiori A. Ipotesi di linea guida per l’accertamento medico legale del nesso causale in Riv. It. Med. Leg. 2010. 

[7] Cass. Civ. Sezione III n. 21619/2007. 

[8] Iadecola G. La causalità medica in sede civile: discrasie e problematicità” In Riv. It. Med. Leg. 2007.

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