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La nullità del licenziamento

Il licenziamento è nullo quando è


  1. discriminatorio perché determinato da ragioni di credo politico o religioso, dall’appartenenza ad un sindacato, dalla partecipazione ad attività sindacali o ad uno sciopero o da ragioni di razza, lingua, sesso, handicap, di età o connesse all’orientamento sessuale o alle convinzioni personali; 
  2. intimato a causa di matrimonio della lavoratrice o nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio ad un anno dopo la celebrazione dello stesso; 
  3. intimato alla lavoratrice madre nel periodo compreso dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino; 
  4. causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale o per malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore; 
  5. intimato al lavoratore che abbia fruito del congedo di paternità per la durata del congedo stesso e sino al compimento di un anno di età del bambino; 
  6. intimato in caso di adozione e di affidamento, nel periodo sino ad un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare; 
  7. negli altri casi previsti dalla legge[1]; 
  8. determinato da un motivo illecito determinante ex art. 1345 C.c. come nel caso del licenziamento ritorsivo che consiste nel recesso datoriale quale ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore; 
  9. intimato in forma orale.

Gli elementi di prova da produrre al fine di dimostrare la nullità del licenziamento cambiano in ragione del tipo di nullità rilevabile: mentre la nullità derivante dal divieto di discriminazione deriva direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno ed europeo, e prescinde quindi dalla motivazione addotta, al contrario nel caso di licenziamento ritorsivo l’elemento qualificante “è dato dall’illiceità del motivo unico e determinante del recesso”[2]


Nel primo caso il lavoratore ricorrente può quindi limitarsi a fornire elementi di fatto o desunti anche da dati statistici e spetta al datore di lavoro resistente dimostrare l’insussistenza della discriminazione che opera in ragione “del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta, ed a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro”[3].


In tutti i casi di nullità del licenziamento, il regime sanzionatorio prevede la reintegrazione nel posto di lavoro ed il pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni perse dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, ed in ogni caso non inferiore alle 5 mensilità con la precisazione che: a) tale disciplina è contenuta per i quadri, gli operai e gli impiegati assunti prima del 7 Marzo 2015 e per i dirigenti, nell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori; b) diversamente per i quadri, gli operai e gli impiegati assunti dopo il 7 Marzo 2015 con riferimento all’art. 2 commi 1 – 3 del D. lgs. n. 23/2015; c) tali previsioni trovano applicazione indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa datrice di lavoro.



NOTE

[1] Licenziamento a causa della domanda di fruizione di congedi per eventi e cause particolari, congedi per formazione, licenziamento intimato prima del trasferimento di azienda e seguito da immediata riassunzione del lavoratore da parte dell’acquirente al fine di aggirare le disposizioni dell’art. 2112 C.c.

[2] Cass. 9 Giugno 2017 n. 14456

[3] Idem

 


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