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Ai sensi dell’art. 269 C.c. “La paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo”. Dalla citazione dell’art. 269 del Codice Civile, il Tribunale di Firenze ha argomentato con sentenza n. 506 del 09.02.2016 l’accoglimento della domanda di riconoscimento della paternità naturale proposta da un cliente dello Studio. In particolare il Tribunale di prime cure ha chiarito che legittimato ad esperire l’azione di accertamento giudiziale è il soggetto che assume di essere figlio, rispetto al quale la domanda è imprescrittibile; sulla base di tale premessa il Tribunale ha osservato come il ricorrente fosse legittimato ex art. 269 C.c. nei confronti del presunto padre in quanto assumeva di esserne il figlio come si evinceva dagli stessi atti di causa nei quali era evidente la sussistenza degli indizi probatori atti a ricostruire la relazione tra la madre ed il presunto padre dell’attore.


Pur tuttavia il giudice ha ritenuto come gli indizi probatori offerti, tra i quali la cartella clinica della madre dell’attore, depositata in atti, non potessero ritenersi completamente sufficienti a desumere in modo certo l’esistenza di una rapporto di filiazione tra il ricorrente ed il presunto padre, necessitando la domanda di un sostegno probatorio rilevante, costituito appunto dall’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio.


L’elaborato peritale depositato in atti confermava l’esistenza di una piena compatibilità genetica tra il ricorrente ed il presunto padre di tal che il Tribunale, valutata la risultanza della consulenza tecnica d’ufficio, si prefiggeva di approfondire se le sole indagini ematologiche e genetiche fossero idonee a fornire elementi decisivi e sufficienti ai fini della valutazione del rapporto biologico di paternità.


Soccorre la decisione del Tribunale quanto statuito dalla Suprema Corte [1] secondo la quale “la consulenza tecnica immunoematologica ha funzione di mezzo obiettivo di prova, costituendo, dati pure i progressi della scienza biomedica, lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione naturale e con essa il giudice accerta l’esistenza o l’inesistenza di incompatibilità genetiche, ossia un fatto biologico di per sé suscettibile di rilevazione solo con l’ausilio di competenze tecniche particolari, Questa Corte inoltre ha già osservato che l’efficacia delle indagini ematologiche ed immunogenetiche sul DNA non può essere esclusa per la ragione che esse sono suscettibili di utilizzazione solo per compiere valutazioni meramente probabilistiche”.


A seguito di tale pronuncia, la Suprema Corte[2] ha confermato il precedente indirizzo affermando che: “l’art. 269 C.c. non pone alcuna limitazione in ordine ai mezzi attraverso i quali può essere provata la paternità naturale” ed ancora in ordine alle indagini ematologiche e genetiche, ha osservato come a tale mezzo di prova “viene attribuito sempre maggiore rilevanza in ragione dell’alto grado di affidabilità di tale prova”.


Il Tribunale di Firenze, pertanto, aderendo al costante indirizzo giurisprudenziale osservava come nell'ambito dell’accertamento della paternità gli enormi progressi compiuti negli ultimi anni dalla scienza immunoematologica e genetica, abbiano consentito di aumentare ulteriormente il grado di attendibilità del test del DNA sino al limite della certezza assoluta del suo esito di tal che, tenuto conto delle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio versata in atti “probabilità di paternità del 99,99%” risultavano del tutto irrilevanti le stesse prove orali richieste dal ricorrente volte ad accertare la relazione tra il convenuto e la madre del ricorrente stesso.


Anzi, tenuto conto del fatto che l’accertamento della paternità è fondato su dati obiettivi quali l’analisi del DNA, il Tribunale statuiva ritenendo di fare proprie le conclusioni alle quali era pervenuto il consulente, atteso che la perizia dell’esperto costituisce elemento probatorio a consentire in via esclusiva la formazione di un convincimento circa l’effettiva paternità tra le parti.


 


NOTE

[1] Cass, Civ. Sez. I, sent. 1446/2008

[2] Cass. Civ. Sez. I, sent, 1279/2014

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